I Saturnali esprimono un profondo pensiero religioso le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Si svolgevano dal 17 al 24 dicembre, ovvero alla vigilia del “Natale del Sole”: il nuovo Sole che rinasce dopo la sua morte simbolica.
I Saturnali affondano le radici negli arcaici riti di rinnovamento legati al solstizio d’inverno,
quando il Vecchio Sole moriva per rinascere Sole Fanciullo e Saturno era il dio che
presiedeva l’Avvento del Natale del Sole Invitto, intendendo il Sole non in senso
naturalistico, bensì essenza ed epifania del dio Creatore e Vivificatore. Sarebbe oltremodo
riduttivo e svilente considerare i Saturnali semplicemente delle festività più o meno allegre
e licenziose, così come una certa tradizione cristiana ha contribuito a far credere. I
Saturnali, in effetti, esprimono un profondo pensiero religioso la cui essenza risale alla
Notte dei Tempi, a quella notte di cui auspicavano il ritorno, illuminata dalla Luce di un
Fanciullo Divino. Per poter penetrare nell’effettiva natura spirituale dei Saturnali occorre risalire la corrente del Tempo sino alle leggendarie origini di Roma, quando i suoi miti s’intrecciano con quelli di un’altra epica città, cioè Troia. Enea, risalendo il Tevere, raggiunge la città di Palantea che occupa il Palatino su cui più tardi sorgerà Roma e dove regna il vecchio re Evandro, giunto nel Lazio dall’Arcadia circa sessant’anni prima della guerra di Troia. Quando Evandro arriva sul Colle Palatino vi trova delle popolazioni locali, gli Aborigeni, che praticano un culto dedito al dio Saturno (gli Aborigeni sono indicati come i più antichi abitanti dell’Italia centrale; erano figli degli alberi, vivevano senza leggi, come nomadi e si nutrivano di frutti selvatici; il loro nome significa “popolo originale”). La leggenda italica romana, arricchita da elementi orientali ed ellenici, racconta che Saturno-Crono, dopo essere stato detronizzato dal figlio Giove- Zeus, nella fine del ciclo dell’anno solare trovò rifugio in una zona che chiamò Latium (“rifugio”, dal lat. latere, “nascondere”). Qui fu benignamente accolto dal re del posto. Giano, che divise il regno con il nuovo venuto ed al quale concesse dì fondare una città tutta sua. Saturnia, un villaggio situato in cima al Campidoglio. Nel governo di Giano si evidenziano già distintamente tutte quelle caratteristiche che verranno poi definitivamente instaurate da Saturno nella Saturnia Tellus (Italia) quando il dio resterà l’unico a regnare dopo la morte e la divinizzazione di Giano: l’Età dell’Oro. In epoca arcaica gli uomini concepivano il Tempo suddiviso in cicli cosmici che via via si susseguivano tracciando un processo involutivo che era partito da una condizione di armonia e di equilibrio e si concludeva in un’età di tenebre materiali e spirituali. L’espressione più chiara di questa concezione temporale è formulata da Esiodo che ripropone un concetto presente in tutto il mondo indoeuropeo. Esiodo associò alle varie età il valore decrescente dei metalli – oro, argento, bronzo e ferro – per esprimere il progressivo svilimento della razza umana.A queste quattro età ne aggiunse una quinta, quella della stirpe divina degli uomini Eroi che precede l’ultima età, quella dei ferro, come estremo tentativo di recupero prima dell’inevitabile caduta finale. Saturno, associato nel successivo sincretismo religioso greco-romano al Crono ellenico, era in epoca arcaica il dio italico dell’Età dell’oro. Nell’Età delI’oro gli uomini vivevano in intimità con gli dèi; non conoscevano preoccupazioni, fatiche, miserie e dolori. Non invecchiavano e trascorrevano i giorni sempre giovani, tra feste e banchetti; quando arrivava per loro il tempo della morte, si addormentavano dolcemente. Gli uomini si nutrivano di ghiande, di frutta selvatica e del miele prodotto dalle api ed essi non erano sottomessi alle fatiche del lavoro perché la terra produceva naturalmente tutto ciò di cui avevano bisogno. In quest’era idilliaca Saturno insegnò agli uomini ad utilizzare con metodo la spontanea fertilità della terra, introdusse l’uso del falcetto e della roncola, attributi coi quali veniva rappresentato. Anche per questo si ricollega il suo nome all’invenzione ed alla diffusione della coltivazione e al taglio della vite: Saturno dal lat. serere “seminare”; sata, “campi seminati”. Il mito prosegue, a questo punto, con notevoli apporti mitologici greci, per cui Saturno viene nuovamente scacciato dal figlio Giove che lo esilia su un’isola deserta dove (poiché immortale) vive in una sorta di vita nella morte, avvolto in lini funerari, fino a quando non verrà il tempo del suo risveglio. Allora egli rinascerà come bambino: rinascita che coinciderà con il Nuovo Risveglio e la restaurazione dell’Età dell’Oro. Per i Greci di epoca più tarda, Crono fu Chronos, cioè il Padre Tempo che avanzava inesorabile con la sua falce. Egli viene dipinto spesso con un corvo al fianco, come… Saturno…; e cro-nos probabilmente significa corvo… Il corvo era un uccello oracolare e si supponeva che ospitasse l’anima del Re Sacro dopo il suo sacrificio… Falci neolitiche di osso, con lame di selce o di ossidiana, venivano ancora usate nei riti religiosi quando già da molto tempo nessuno se ne serviva più per uso agricolo. …La roncola o falcetto di Saturno… era a forma di corvo e a quanto pare veniva usata nel settimo mese dell’anno sacro di tredici mesi per evirare la quercia recidendo il vischio. …Il vischio veniva identificato con i genitali della quercia, e quando i Druidi lo staccavano ritualmente dal tronco con il loro falcetto d’oro, eseguivano una simbolica evirazione. Si credeva che il liquido appiccicoso del vischio fosse lo sperma della quercia, dotato di grandi virtù curative. …La falce rituale veniva usata per mietere il primo covone di grano. Con questa cerimonia si dava inizio al sacrificio del Re Sacro. …Ma all’epoca cui si riferiscono questi miti, i re sacri potevano prolungare il loro regno fino al termine del Grande Anno di cento lunazioni, sacrificando ogni anno un fanciullo come sostituto. Ecco perché si narra che Crono divorasse i suoi figli per evitare di essere detronizzato. …In Creta le vittime umane furono ben presto sostituite da un capretto; in Tracia da un vitello; in Eolia… da un puledro: ma nei distretti più remoti dell’Arcadia si sacrificavano ancora fanciulli all’inizio dell’era di Cristo. Non si sa con certezza se i riti elei fossero cannibalici oppure se, dato che Crono era un Titano-conlo, i corvi venissero nutriti con le carni della vittima sacrificata. (R. Graves. l Miti Greci).
I Saturnali si proponevano di ristabilire, anche se solo per pochi giorni, la mitica Età dell’Oro, ovvero il regno di Saturno. Erano la ricorrenza più festosa dell’anno e, in seguito,
neanche la Chiesa riuscì a sradicare l’idea che questi giorni fossero occasione di una
sfrenata allegria, spesso licenziosa. L’autorità ed il potere dei padroni sugli schiavi era
temporaneamente sospesa: questi cambiavano i loro abiti con quelli dei loro signori ed
eleggevano un loro Re per lefeste, che presiedeva ad un grande banchetto in cui il signore
serviva a tavola i suoi schiavi, liberi di parola e di critica. Nel periodo arcaico, questo Re,
alla fine delle feste, veniva poi messo a morte. Tale usanza risaliva, molto probabilmente, al
mitico periodo in cui i Pelasgi giunsero a Saturnia. Gli Elleni, dopo aver scacciato gli abitanti
del posto, sacrificarono un decimo del bottino ad Apollo ed eressero due templi: uno ad
Adee uno a Satumo che identificarono con il loro Crono. Ad Ade sacrificavano teste umane
e a Saturno immolavano un uomo. A questo mito si sovrappose quello di Ercole, di
passaggio in quelle regioni, che convinse i suoi connazionali a non offrire teste umane, ma
statuette d’argilla ed a sostituire l’immolazione di un uomo con l’offerta di ceri accesi,
giocando sul fatto che la parola phota, in greco, vuoi dire sia “uomo” che “luce”. Così i
Romani, in tempi più recenti, anziché sacrificare uomini usavano scambiarsi in dono ceri e
statuette d’argilla riproducenti fattezze umane.
Un mito induista narra che Vishnu, sotto forma di pesce, apparve a Satyavrata alla fine del
ciclo cosmico che ha preceduto il nostro. Vishnu annuncia a quest’ultimo che il mondo sta
per essere sommerso dalle acque e gli ordina di fabbricare un’arca nella quale racchiudere i
germi del mondo futuro; infine guida l’arca, con Satyavrataa bordo, sulle acque durante il
cataclisma. Dopo il disastro, Satyavrata, divenuto Vaisvavvata, cioè il Legislatore del ciclo
attuale, reca agli uomini il Veda, la Parola divina. A parte l’assonanza con il mito di Noè,
alcuni studiosi, fra cui Guénon, riconoscono nel vedico Satyavrata – “colui che ha fatto della
verità il suo voto” – il romano Saturno, come il dio di passaggio da un vecchio ad un nuovo
ciclo: ipotesi confermata dalla comune radice sanscrita Sat; Uno. Saturno non è soltanto il
dio che presiede al rinnovamento dell’anno e che attraversa le acque, è anche il dio che
giunge felicemente alla riva, che regna sulla nuova Età dell’Oro. E’ un dio che spegne il
passato ed accende il futuro, è il dio che, nel governo del mondo, succede a Giano, dio
Creatore ed Iniziatore dalle due facce. Pertanto, ne assimila molti dei connotati, soprattutto
l’idea di passaggio, di una Verità Una e Bifronte. Saturno precede il solstizio d’inverno,
regnando sulle contraddizioni solstiziali: euforia, confusione, desiderio di rinnovamento,
nostalgia di qualcosa che muore. attesa di quel che verrà. Saturno è colui che ha le chiavi
del Grande Gioco cosmico e che regola l’ordine universale; non a caso abbiamo parlato di
gioco: nei giorni a lui dedicati si svolgeva il Grande Gioco di Saturno, il gioco-oracolo con il
quale si esercitava una sorta di divinazione. Il dio, così, permetteva agli uomini di
conoscere, per una volta, i disegni divini. II gioco d’azzardo era infatti strettamente
connesso con Saturno, tanto che a Roma era permesso giocare soltanto durante i
Saturnalia. Con il tempo, è divenuto poi un divertimento privato e un’abitudine il giocare di
più proprio durante le feste natalizie. Anche il gioco della tombola risale a questo periodo e
a questo dio: l’attuale gioco della tombola deriva, infatti, dal Grande Gioco di Saturno e dal
gioco-oracolo col quale anticamente, e non solo a Roma, si esercitava una forma di
divinazione.
Per tutto quanto detto finora risulta evidente che l Saturnali, già all’epoca di Virgilio, hanno
definitivamente assunto tutti i connotati di una vera e propria religione e, soprattutto, di
una religione misterica, come precisa Macrobio (scrittore latino, IV-V sec. d.C.)
nell’opera Saturnalia: “II diritto divino non mi permette di rivelare nozioni connesse alla
segreta essenza della divinità: posso esporre soltanto la versione mista ad elementi mitici o
divulgata dai fisici. Quanto alle origini occulte… non si possono illustrare nemmeno durante
le cenimonie sacre; anzi, qualora si giunga a conoscerle, è obbligo tenerle ben nascoste
dentro di sé”. I Saturnali si celebravano a dicembre, l’ultimo mese dell’anno ed erano
ufficialmente proclamati il 17 dicembre. Il primo giorno c’era la processione fino al
tempio di Saturno posto nel Foro alle falde del Campidoglio e si faceva sull’Ara il solenne
sacrificio cui si assisteva a capo scoperto e durante il quale si scioglievano le bende di
lana che avvolgevano i piedi del simulacro di Saturno; Saturno rimaneva slegato ad
adempiere le sue funzioni di fondatore di una nuova era fino alla fine dell’anno; al rinnovo
del ciclo annuale, il simulacro veniva nuovamente legato ed un suo sostituto, il Rex
Saturnaliorum, veniva simbolicamente ucciso (tutto ciò in ricordo degli arcaici sacrifici
umani e perché l’Età dell’Oro non è restaurabile se non alla fine di questo ciclo, quando il
dio nascerà bambino). Seguiva il Iettisternio (dal lat. lectus, “letto” e stemere,
“stendere” – cerimonia religiosa dell’antica Roma che consisteva nell’offrire un banchetto
agli dèi le cui statue erano state poste a giacere su letti intomo ad una tavola riccamente
ìmbandìta; il lectisterium veniva celebrato in onore di Giove e dei Dodici Dèi in occasione
sia di solenni feste religiose che di calamità. Il banchetto pubblico, dove tutti i convenuti
si scambiavano brindisi e auguri alla luce delle candele, era preparato dagli epulo-nes, i
mèmbri di quattro grandi corporazioni che poi consumavano i raffinati cibi offerti agli dèi. I
fedeli facevano la veglia per tutta la notte per attendere e salutare la nascita del Sole
nuovo. Il tutto a spese dello Stato. In epoca arcaica la festa si svolgeva in quest’unico
giorno; in seguito la durata delle celebrazioni fu portata a tre giorni da Cesare, a quattro da
Augusto, a cinque da Caligola e, infine, a sette da Domiziano. fin dall’età repubblicana i
Saturnali si celebravano a Roma, assumendo importanza maggiore nell’epoca imperiale,
diffondendosi rapidamente in tutta la penisola. Non eguale fortuna ebbe il culto del dio
Saturno, non essendoci riscontri altrove, tranne che a Roma, di templi a lui dedicati.
Durante i Satumali i tribunali e le scuole erano chiusi: era proibito iniziare o partecipare a
guerre, stabilire pene capitali e, comunque, esercitare qualsiasi attività che non fosse un
festeggiamento. Per gran parte della popolazione, che svolgeva lavoro agricolo, i Saturnali
annunciavano un lungo periodo di riposo in attesa della primavera. Come possiamo notare,
molte delle usanze dei Saturnali si sono conservate fino ad oggi e caratterizzano il nostro
modo di festeggiare il Natale: accendere le luci (delle candele prima, elettriche oggi), il
banchetto, lo scambio di doni, la celebrazione religiosa, regalarsi i ceri, i datteri, le noci e
cibi dolci come il miele, fare i brindisi e gli auguri, la chiusura delle scuole, la lunga festa.
I saturnali romani col tempo assunsero connotazioni licenziose e orgiastiche, connesse a
gozzoviglie e copiose crapule. La categoria del Carnevale, le cui origini si fanno risalire
proprio alla festa dei Saturnali, è metafora, per antonomasia, di pazza e allegra
“trasgressione”, con più implicazioni, tutte riconducibili allo scompaginamento dei ruoli
sociali, in una loro sospensione effimera, durante la quale si dà sfogo alle frustrazioni e ai
troppi rospi ingoiati, imposti dalla tradizione e dall’ordine, non sempre costituito dalla
giustizia e dall’equità. Ma ci sono pure i sogni, i desideri, le ambizioni che suggeriscono
questa annuale “inversione delle parti”, e fomentano questo spostamento della routine
verso forme ribelli e trasgressive, seppure in veste burlesca e innocua, poichè accettate da
tutti i protagonisti di questa convenzionale finzione collettiva, concessa dalla “libertà di
dicembre” durante i Saturnali, e continuata dal nostro festoso Carnevale. Il Carnevale
investe le diverse libertà: quella del travestimento, quella del linguaggio e quella delle
abitudini rovesciate. C’è l’esaltazione di ciò che la morale comune biasima: l’abbuffata e la
gozzoviglia iperbolica. Così pure l’impasto verbale, carico di ironia burlona e di giocose
invettive, che non possono trovare azioni ritorsive da parte di chi le subisce. Un florilegio
linguistico, quello carnevalesco, scherzoso e beffardo, che rimanda a coinvolgimenti
trasgressivi, generatori di comiche trovate e risate a crepapelle. Lo sconvolgimento dei
ruoli, che è virtuale nel corso dell’anno, a Carnevale, irrompe giocoso e impazza
folleggiante, avvolgendo uomini e cose in una imponente incantata farsa dagli esiti scontati.
Si sa, tutto poi ritornerà come prima e ognuno tornerà al suo stato sociale, e il potere
rovesciato sarà simbolicamente bruciato in un grosso falò con l’accensione del fantoccio,
che lo ha proclamato, inneggiandolo, al suo arrivo festoso e trionfante tra i canti e gli
schiamazzi di mascherate pirotecniche. Sempre a proposito del pupazzo, dato alle fiamme o impiccato sotto un cielo crivellato di vividi fuochi d’artificio, c’è da sottolineare come esso
rappresenti: per un verso l’allegra rivolta (il sogno?), amalgamata di spassose canzonature o
di epigrammi finemente ironici, ma anche la celebrazione, sia pure temporanea, del
“proibito”, con l’esaltazione delle funzioni ritenute “basse (crapule, gozzoviglie, pance
piene, sfrenatezza sessuale ecc.), rispetto a quelle “alte” o etico-intellettuali, e per questo 1
esiliate dalla cultura ufficiale; per altro verso il fantoccio, giustiziato fra schiamazzi e finti
lamenti, come pure raffiguri l’allegro finale di questo ammutinamento collettivo e fittizio, sia pure burlesco, che ha scompaginato l’ordine sociale con una messinscena davvero
divertente.
In questo “universo rovesciato” tutti diventano artistici creatori della risata, attraverso buffi
travestimenti, ma anche con il tono del linguaggio grasso e colorito, improntato all’irrisione.
Davvero singolare, poi, la coesistenza, nella parola Carnevale di due disposizioni
antinomiche, contrastanti, quali: l’invito alla festa sfrenata e sregolata da un lato, e
dall’altro il monito severo alI’estensione da tutti i beni materiali propugnati (balli, banchetti, abbuffate, consumo di carne e di sesso) per un periodo di penitenza e raccoglimento spirituale. Il Re Carnevale è del resto consapevole che il suo tempo si basa sulla doppiezza etimologica del suo stesso essere, e non si cura della sua morte, fittizia pure questa, oscillando esso, come pendolo perenne, fra i due estremi della condizione esistenziale. Ma piovono coriandoli, si intrecciano stelle filanti sulla fantasmagorica follia del Carnevale che sbavaglia per qualche giorno festose utopie. Come al tempo degli antichi Saturnali.